Δευτέρα 30 Νοεμβρίου 2015

Quando il femminismo diventa omofobo./ Alle femministe della differenza: non consegnate i nostri corpi allo Stato!

 



Il no delle femministe alla gestazione per altri




"Quello che per me è importante, è che tutti coloro che vogliono una famiglia possano avere questa opportunità". Danielle risponde al telefono dall'altro lato dell'oceano mentre prepara le figlie, di 5 e 8 anni, che sta per portare a scuola. Il marito è a lavoro, lei ci andrà subito dopo. Ha 28 anni, una vita normale e ha deciso - 4 anni fa - di fare in modo che una coppia di omosessuali italiani possano averne una simile. Ha portato in grembo per 9 mesi i loro due figli. Il seme è di uno dei due papà, l'ovulo quello di un'altra donna. Lei ha lasciato che glielo impiantassero e ha portato avanti la gravidanza in California, dove vive e dove i due gemellini sono nati. Per la legge di quello Stato sono figli di entrambi i papà, per l'Italia sono i bambini di un single.

Abbiamo raggiunto Danielle grazie all'associazione Famiglie Arcobaleno, i cui iscritti rispettano una carta etica: sono contrari alla "gestazione per altri" quando riguarda donne che vivono in Paesi in cui la loro autodeterminazione può essere compromessa. Nei Paesi del terzo mondo non ci sono regole che tutelino, in casi come questo, la salute delle donne. In Canada o negli Stati Uniti invece le donne che hanno accesso alla gpa devono essere state già madri e non devono essere in condizioni econimiche tali da poter pensare che a muoverle sia il bisogno.

Quando ha portato avanti la "gestazione per altri" per i due papà italiani? E perché ha scelto di farlo?
"Nel 2011, 4 anni fa. Un'esperienza che ho scelto perché ho sempre pensato che tutti debbano avere la possibilità di formare una famiglia se lo desiderano ".

Era già madre?
"Avevo già le mie due figlie, che oggi hanno 8 e 5 anni".

Come si è avvicinata a questa scelta? Ha conosciuto persone che non potevano avere figli, è venuta a contatto con qualche associazione?
"Volevo essere una "mamma surrogata" perché mia madre lo aveva desiderato senza averne la possibilità. È una cosa di cui in famiglia abbiamo sempre parlato molto e quando ho avuto dei bambini miei ho pensato che sarebbe stato bellissimo poterlo consentire ad altri".

Ha contattato un'associazione?
"Ho fatto da sola tutte le mie ricerche. Ho trovato un'agenzia di surrogacy qui in California e loro mi hanno fatto conoscere coppie che volevano un bambino. Ho scelto i due papà italiani perché ho capito da subito che mi avrebbero consentito di seguire la crescita della loro famiglia".

Siete in contatto?
"Certo che lo siamo. L'anno scorso sono stata a trovarli in Italia insiem e a mia madre e a mia nonna, hanno conosciuto i bambini e abbiamo passato del tempo insieme".

Li ha portati in grembo per 9 mesi, li ha partoriti. Sente di essere la loro madre?
"No. Mi sento come una "zia"
( lo dice in italiano, ndr) molto molto speciale . Non hanno bisogno di avermi come madre perché hanno due papà meravigliosi ".

Conosceva prima la coppia che ha scelto?
"Io e mio marito li abbiamo conosciuti prima, sì".

Suo marito è stato d'accordo fin da subito con la surrogacy o aveva delle perplessità?
"Assolutamente no, nessun dubbio. Ha sostenuto la mia scelta fortemente fin dall'inizio. E ha un buonissimo rapporto con i genitori dei bambini".

È stata pagata?
"Sì, c'è stato un pagamento. È una cosa molto comune".

C'era un contratto preciso che la garantiva, che sanciva diritti e doveri di entrambi le parti?
"Sì, c'è un contratto".

Era prevista la possibilità di cambiare idea in qualsiasi momento oppure no?
"Sì, c'è la possibilità di cambiare idea, ma non c'è stato un solo momento in cui io abbia pensato di farlo"

Posso chiederle quanto ha ricevuto?
"22mila dollari americani".

Lei ha già due bimbe e due "nipotini" italiani. È un'esperienza che farebbe di nuovo?
"L'ho fatto una seconda volta per una coppia eterosessuale, per una mamma e un papà".

Le sue bambine hanno vissuto con lei le altre gravidanze. L'hanno vista con la pancia, in ospedale. Sanno tutto degli altri bambini?
"Certo, li conoscono. Skype è un grande aiuto per restare in contatto, ci chiamiamo e vediamo molto molto spesso. Le mie figlie adorano quei ragazzi italiani. Hanno legato da subito con i loro papà e vogliono bene ai bambini".

Quando li portava in grembo cosa provava per quei bambini? Come li considerava?
"Avevo certamente un legame profondo con i bambini mentre erano nella mia pancia, ma ho sempre avuto la piena consapevolezza del fatto che avevano altri due genitori".

La gravidanza è un periodo che chi lo ha vissuto descrive come bellissimo, ma faticoso. Lei lo ha attraversato due volte per altre persone. Lo farebbe ancora?
"Condivido quel che dice. La gravidanza è molto molto faticosa e lo è anche il parto. Adesso io lavoro, sto crescendo le mie figlie, ma penso che potrei fare una terza surrogacy".

Dove lavora?
"In un call center".

Al momento del parto, nel 2011, c'erano i papà dei bambini?
"Sono venuti da noi in California tre settimane prima. Abbiamo vissuto insieme gli ultimi momenti della gravidanza condividendo molte cose. Quando li ho visti giocare con le mie figlie, ho capito che tra noi sarebbe andato tutto bene. In ospedale c'erano loro, mio marito, mia madre: una famiglia parecchio allargata".

http://www.repubblica.it/cronaca/2015/12/05/news/_ho_affittato_il_mio_utero_a_una_coppia_di_gay_italiani_mi_hanno_pagato_20mila_euro_e_vi_dico_perche_non_mi_pento_-128844873/
 
Neil-Patrick-Harris-e-la-sua-famiglia
Neil Patrick Harris e il marito David Burtka con le loro due figlie
Mentre sembra che tutto taccia, in realtà la discussione sui diritti per le coppie omosessuali si sta sempre più spostando su un altro fronte: quello legato alla maternità surrogata. Fermo restando che alla gestazione per altri accedono soprattuto le coppie eterosessuali, al no da parte dei gruppi cattolici integralisti si va ad aggiungere quello delle femministe, francesi e italiane. Come riportato dalla 27esima ora del Corriere, il 2 febbraio 2016 in Francia si terrà un convegno per l’Abolizione universale della maternità surrogata, alla quale parteciperanno ricercatori, parlamentari francesi ed europei, associazioni femministe.
La promotrice è  Sylviane Agacinski, storica femminista francese contraria alle pratiche di fecondazione assistita, ree di sfruttare il corpo delle donne: «Non abbiamo a che fare con gesti individuali motivati dall’altruismo, ma con un mercato procreativo globalizzato nel quale i ventri sono affittati. È stupefacente, e contrario ai diritti della persona e al rispetto del suo corpo, il fatto che si osi trattare una donna come un mezzo di produzione di bambini». La Agacinski fa riferimento a quei paesi, come l’India o il Nepal, dove le donne vengono “comprate” per partorire bambini che saranno affidati ad altre coppie, coppie che quasi sempre provengono dai paesi ricchi.
Al coro delle femministe francesi si è aggiunto quello delle italiane. In principio fu Luisa Muraroche definì le coppie gay «naturalmente e ovviamente sterili», accusando gli uomini gay di voler usurpare alle donne il dono della maternità. Poi, lo scorso 22 novembre alla Casa delle Donne di Roma si è tenuto un incontro al quale hanno partecipato voci storiche del femminismo italiano, insieme ad alcuni esponenti di associazioni LGBT, come Aurelio Mancuso, le cui idee in merito alla gpa le conosciamo bene.
Una delle posizioni più tranchant delle femministe riunitesi alla Casa delle Donne è quella di Paola Tavella: «Le donne e gli uomini di fronte alla procreazione non sono sullo stesso piano. Non possiamo organizzare scientificamente di fare nascere un figlio senza madre, che non avrà mai una madre». Queste parole non vi ricordano per caso quelle di un certo Mario Adinolfi che per attaccare le coppie omosessuali ha scritto un libro il cui titolo è (casualmente) “Voglio la mamma”?

Claudio Rossi Marcelli col marito, Manlio Sanna, le figlie e le due madri surrogate.
È un paradosso. Le donne, che in passato hanno lottato per una società più giusta, per una società in cui le donne avessero egual voce ed egual spazio rispetto agli uomini, sono diventate, senza neanche rendersene conto, omofobe. Se teniamo conto che le posizioni di ArciLesbica non sono così dissimili da quelle delle femministe qui citate, con l’unica differenza che loro sostengono la gpa solo se esclusivamente volontaria e senza nessun scambio economico, dobbiamo ammettere che siamo di fronte ad un corto circuito che non ci porterà da nessuna parte.
Il punto è che nessuno può vietare o mettere in discussione il desiderio di genitorialità di una persona.La genitorialità è un diritto. E come tale va regolata. Queste regole sono necessarie per evitare abusi, violazioni, sfruttamenti, ma non devono in nessun modo – come invece vorrebbero certe femministe – discriminare le coppie in base al genere, perché in quel caso non solo sarebbero regole ingiuste, ma fondate su un principio illogico. Qualsiasi coppia che fa uso di pratiche mediche per procreare è una coppia “sterile” – che essa sia gay, lesbica o etero, che si tratti di fecondazione assistita o gestazione per altri. Il dibattito, infatti, non dovrebbe ruotare attorno al genere che compone la coppia, ma attorno a un cambiamento epocale: in quello che fino a qualche decennio fa veniva considerato naturale – il concepimento, la gestazione e il parto – è intervenuta la scienza. Ed è un cambiamento che riguarda tutti.
Come se non bastasse, tutto questo discorrere non tiene conto di un altro aspetto significativo: l’impossibilità per single e coppie dello stesso sesso di adottare. Allora, anziché fossilizzarsi su discorsi vecchi e stravecchi, che ancora legano la genitorialità alla biologia, che ancora ricalcano il modello binario uomo/padre donna/madre, perché non ci si siede a un tavolo e non si prova a discutere di cosa vuol dire essere genitori, e genitori omosessuali, nel ventunesimo secolo?
Infine, vorrei che certe femministe, quando si parla di diritti delle persone omosessuali, la smettessero di descrivere gli uomini come sfruttatori del corpo delle donne. Non vi è nessun nesso logico tra il desiderio di genitorialità di una coppia gay e lo sfruttamento delle donne. È vero, tanti – etero e gay – si rivolgono a quei paesi dove la leva per le gestanti è la povertà, ma è altrettanto vero che tantissime coppie scelgono l’America o il Canada, dove le gestanti (che non hanno nessun legame biologico diretto col bambino che portano in grembo) sono perfettamente tutelate.
Perché queste femministe, anziché tuonare contro il maschio usurpatore, non chiedono alle donne canadesi, americane, svedesi e di altri paesi del nord Europa, perché portano avanti- con o senza compenso economico – una gravidanza per altri? Perché si punta il dito contro il presunto maschio (in questo caso gay) e non si dà voce, invece, alle donne che scelgono di essere madri surrogate? La risposta la affido alle bellissime parole di Chiara Lalli che, nel suo articolo su ArciLesbica, scrive: «La presunzione di parlare in nome di tutte le donne è pericolosa e miope. E la volontà di difendere le persone dalle loro stesse scelte è paternalistica e anche un po’ ridicola. La condanna della scelta di portare avanti la gravidanza per qualcun altro sembra alimentarsi anche di convinzioni stereotipate secondo cui le donne sono fragili e materne, e non possono che volersi tenere quella creatura che per nove mesi hanno tenuto nel proprio utero. Non possono che seguire strade predisegnate. Ovvero, l’utero è mio ma decidi tu cosa devo farne».







Alle femministe della differenza: non consegnate i nostri corpi allo Stato!


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È arrivata l’era del femminismo proibizionista. Le femministe della differenza si riuniscono in Italia per ribadire gli stessi concetti di sempre. Donna e uomo sono diversi per natura. Quando si parla di figli bisogna pensare innanzi tutto al “primato della maternità”. È prioritario pensare al ruolo materno perché è lei che gestisce, respira e nutre il figlio per nove mesi, così da un lato temono che la donna possa essere considerata una macchina per fare figli, cosa che non piace neanche a me intendiamoci, e dall’altro però negano al padre qualunque tipo di relazione, affinità, empatia, semplicemente perché di lui si parla come un donatore di seme che non può pretendere altro se non la concessione, da parte della madre, di poter stare con il figlio quando lo dice lei.
Le femministe della differenza partono dall’assunto che se sei donna e non puoi fare figli non puoi ricorrere neppure alla procreazione medicalmente assistita. Sei semplicemente sterile così come lo sono gli uomini che ora pretendono perfino di poter crescere i figli da soli. Che grave misfatto, che bestemmia, contro quella madonna che tutto merita perché madre, partoriente, essere superiore perché crea la vita. Mi fermo un attimo per dire che sto semplicemente ripetendo frasi lette qui e là che a me fanno inorridire. In quanto avente utero non mi sono mai considerata fattrice di primati, non merito premi, non credo che io sia superiore a nessuno e penso che regalare sacralità alla donna e al suo utero faccia il gioco della cultura patriarcale che non vede l’ora di ridurci a questo. Donne che fanno figli e se ne prendono cura mentre gli uomini andranno a zappare.

Che altro dicono queste femministe? Si esprimono con favore nei confronti delle campagne catto/fasciste contro le unioni gay, le adozioni per coppie gay, prendendo a pretesto l’utero in affitto – e parlo dei catto/fasci – così come farebbe la peggior specie di banda politica che pratica pinkwashing per sdoganare omofobia. Io so che le motivazioni delle femministe sono completamente diverse e non le chiamo omofobe perché non la pensano come me ma devo pur ricordare loro che stanno sul serio spalancando le porte alla mentalità più reazionaria e omofoba che ci sia. Leggendo alcuni interventi colgo di sicuro la complessità della questione e posso certamente condividere alcune preoccupazioni, ma il punto è che gli interventi paternalisti di quelle che vorrebbero imporre alle altre il proprio punto di vista e la propria idea di libertà sono roba anacronistica. Mi pare di rivivere discussioni di tanti anni fa. Questo è il femminismo di una storia politica che non lascia spazio al futuro, che teme la tecnologia e la scienza così come fa la Chiesa. È il femminismo che si preoccupa di organizzare un incontro nazionale, con la presenza delle “femministe storiche”, qualunque cosa voglia dire, a Roma il 22 novembre ed una iniziativa nazionale, che credo avverrà in febbraio, per parlare di corpi che non ci appartengono. Corpi sociali, corpi di Stato, consegnati alle istituzioni che avranno il compito di limitare la nostra libertà decisionale. E siamo ancora l’unica nazione in cui le femministe esortano i patriarchi a prenderci in consegna per toglierci la possibilità di “farci male”.

Ho spesso parlato di femminismo che infantilizza le donne ed è in fondo questo quello che emerge da tante riflessioni e interventi letti e sentiti negli ultimi mesi. Mi pare che l’infantilizzazione delle donne sia la priorità per le femministe della differenza, che stanno come sempre al seguito delle madrine francesi assai deludenti soprattutto perché abolizioniste della prostituzione, proibizioniste, neocolonialiste, ché il velo no, la prostituzione no, la surrogacy no, perché il corpo è mio ma non è mio, come direbbe la Dominijanni, perché la priorità è salvare le donne da se stesse, fermarle prima che compiano scelte irreversibili e segnino il destino di tutte le donne, come se io, domani, obbligassi tutte loro a vendere servizi sessuali, a indossare il velo e a mettere in vendita quel che genera il loro utero.
La donna sterile perché mai dovrebbe avere figli? E lì si trae la distanza tra donne superiori e donne che non servono a niente, recitando il mantra stereotipato e copiato da non so quale fonte conservatrice. L’uomo è per natura sterile e bisogna riaffermare la differenza perché, secondo Terragni, altrimenti si realizza la scomparsa della donna. Basta con teorie queer e dall’altro lato fanno eco quelli che “basta con il gender”. Mi chiedo se prima o poi leggerò di proposte femministe in relazione a classi scolastiche divise per genere. Riprenderemo a fare corsi di economia domestica separandoli da quelli di meccanica? Ma se anche volessi credere alla teoria della differenza, che per inciso giudico esattamente speculare e opposta alla teoria maschilista, vorrei capire chi dice che la donna deve essere corrispondente solo a un modello unico? Chi dice che io, diversa da un uomo ma diversa anche da tante donne, non voglia vendere servizi sessuali, indossare il velo, prestare il mio utero per fare dono di un figlio ad una coppia gay? Se io non obbligo nessuno a scegliere quello che voglio fare io, allora, perché mai devo subire divieti da parte di chi, sostanzialmente, pensa che l’unica idea di libertà possibile corrisponda alla loro?

Oltretutto io continuo a non capire questo fiorire di donne contro il neoliberismo che all’alto della loro condizione borghese dicono a noi precarie che non dobbiamo lasciarci mercificare perché altrimenti chissà cosa succede. Come se ogni persona possibile non lavorasse per vivere, mettendo in gioco corpi, menti, braccia, cuore. Mi chiedo cosa voglia dire esattamente tutto questo loro parlare di neoliberismo perché per quello che mi riguarda io assegno lo stesso valore di impiego alle donne qualunque lavoro vogliano svolgere. Vietare alcuni modi di guadagnare a donne che vogliono, per esempio, vendere servizi sessuali, significa comunque stigmatizzarle. Dico di più: non c’è servizio più grande reso al capitalismo che quello di sganciare il tema dello sfruttamento dei corpi femminili da quello più ampio dello sfruttamento dei corpi tutti, perché, a prescindere dal fatto che sia necessario contestualizzare le varie differenze con una lettura di genere, quello che si finisce per fare è scindere le rivendicazioni che parlano di sfruttamento sul corpo femminile da ogni tipo di rivendicazione che riguardi lo sfruttamento di tutte le persone che svolgono lavori di qualunque genere. Non è un caso se la richiesta di regolarizzazione del sex working viene ignorata o demonizzata mentre si impongono censure e scelte moraliste e proibizioniste che sono lesive della autodeterminazione di ciascun@. Non è un caso: perché è più semplice colludere con logiche di mercato liberiste, che rifiutano a priori l’idea che per fermare lo sfruttamento di ogni persona debbano essere ridiscusse le regole, contratti, tutto quel che riguarda il diritto del lavoro, affinché ogni lavoratore e lavoratrice possa meglio gestire la propria professione senza che mai nessuno sia sfruttato.

 Non è un caso: perché altrimenti non potrebbero, così come fanno, dire di essere contrarie allo sfruttamento delle donne quando si parla di prostituzione e poi restare in silenzio quando vengono approvate riforme del lavoro in cui sostanzialmente si dice che grazie a contratti precari, senza garanzie, in violazione di tutti i tuoi diritti, puoi essere sfruttata come lavoratrice nello svolgimento di qualunque altra mansione. Non è un caso: perché altrimenti non potrebbero farti digerire la teoria secondo la quale tu, moglie e madre, sul cui lavoro di cura si regge tutto il welfare dello Stato, non sei mica sfruttata, ma no, e figuriamoci, invece saresti strafelice di farti sfruttare gratis per ammortizzare carenze istituzionali ed economiche.
Questo interesse rivolto ai corpi delle donne, e non ai corpi di tutte le persone a prescindere dal genere nel quale ci riconosciamo, a cosa ci porta? Com’è possibile che le femministe della differenza non ripensino alle conseguenze dei loro ragionamenti? Sulla base della nostra differenza per “natura” dobbiamo rimanere a casa? Svolgere ruoli di cura? Assegnare agli uomini solo obblighi di mantenimento del nucleo familiare? Perché mentre a voi sembra di parlare di futuro, con le vostre norme etiche e la vostra morale, a me pare che parliate di un passato che non ha più niente a che fare con quello che siamo noi, donne, femministe, persone che parlano un altro linguaggio e che danno importanza al concetto di autodeterminazione.
D’altronde siete voi che avete lottato per concedermi il diritto di dire che il corpo è mio e lo gestisco io. Che succede adesso? Siamo uscite troppo dai binari e volete ricondurci all’ovile? Perché oggi ci dite che quel corpo che ritenevamo nostro non ci appartiene più?

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